Internet in Cina: alcune osservazioni

Che Internet sia parte integrante della società cinese è un dato ormai fuori discussione. Come mostra l’ultimo report del CNNIC, attualmente in Cina esistono circa 538 milioni di netizens, cifra che lascia pochi dubbi sulla portata dell’impatto del nuovo medium per eccellenza sulle vite degli abitanti della Repubblica Popolare Cinese.  Diffondendosi rapidamente e in maniera sempre più capillare, Internet ha infatti modificato, in Cina come altrove, le modalità di informazione, comunicazione ed espressione individuale e sociale, confermandosi come una delle più grandi rivoluzioni dello scorso secolo.

Come spesso accade quando ci trova di fronte a cambiamenti rapidi e irreversibili, è bastato poco perché si diffondesse una generale ondata di ottimismo riguardo le potenzialità di Internet in relazione ad un contesto politico, come quello cinese, notoriamente autoritario e poco democratico. Nel corso di questi ultimi anni si è infatti più volte teorizzato che, fornendo un accesso rapido e gratuito ad una mole di informazione vastissima e difficilmente controllabile, Internet avrebbe contribuito ad un risveglio della coscienza politica dei cittadini cinesi. Si è inoltre affermato che queste coscienze risvegliate avrebbero trovato possibilità di aggregazione nelle numerose piattaforme di discussione e comunicazione offerte dal web, indipendenti dai confini spazio-temporali  in virtù della loro stessa natura virtuale e soggette in misura minore ai limiti della censura, a differenza dei  media tradizionali.

Sebbene sia innegabile la ragionevolezza di queste osservazioni e sia evidente la straordinaria funzione sociale  ricoperta da Internet nel mondo contemporaneo, sembra opportuno sollevare alcuni interrogativi a riguardo. E’ davvero così scontato il legame tra i nuovi media e la trasformazione politica delle Repubblica Popolare Cinese? Riuscirà una tecnologia laddove la società civile ha fallito? E’ probabilmente ancora prematuro dare risposta a tali quesiti, ma sembra sensato fornire alcune obiezioni alla diffusa parabola della cosiddetta “spinta democratica” che Internet starebbe fornendo alla società cinese.

In primo luogo, basterà osservare ancora una volta i dati forniti dal CNNIC per rendersi conto del fatto che, nonostante non manchino occasioni e spazi di discussione di temi di interesse sociale e politico, tra le attività più praticate dai netizens cinesi vi siano quelle legate alla sfera dell’intrattenimento.  Una cospicua fetta di internauti indirizza infatti la propria navigazione verso le chat-room, i social network, i siti di condivisione video e di giochi e shopping online, e sembra prestare ben poca attenzione alle tematiche dei diritti umani e della democrazia.

In secondo luogo, anche laddove l’interesse dei netizens si concentri sulle tematiche cosiddette “sensibili”, difficilmente queste attività si canalizzano in una forma di vero e proprio attivismo politico, organizzato secondo una struttura centralizzata, ma si presentano solitamente come forme di partecipazione e critica politica spontanee e piuttosto disordinate. Non di rado, inoltre, si tratta di voci contrastanti e  in conflitto, che danno spesso luogo ad uno spazio di espressione selvaggio e cacofonico più che ad una sfera di discussione politica ordinata e razionale.

In terzo luogo, pur volendo ignorare le due osservazioni precedentemente avanzate, sarà bene ricordare la presenza di un attore fondamentale, la cui presenza rende a tutt’oggi impossibile la piena realizzazione della presunta azione democratica di Internet. Stiamo parlando del regime, che, attraverso una struttura di controllo altamente sofisticata e capillare, riesce, pur con qualche difficoltà, a tenere sotto controllo lo spazio virtuale, anche grazie alla collaborazione delle società che in esso operano, che spesso preferiscono tradire la causa dei diritti civili e della libertà di espressione pur di non perdere una fetta di mercato vasta e redditizia come quella cinese. Casi celebri sono quelli di Msn e Yahoo!, firmatari nel 2007 di un ” codice di condotta”  in base al quale i due server si impegnano a non diffondere “messaggi erronei o illegali”, e a sostenere la battaglia contro l’anonimato dei blogger.

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