L’insegnamento del cinese nelle scuole italiane: limiti e prospettive

Quello tra l’Italia e la Cina, come viene in più occasioni ribadito, è un rapporto le cui origini vanno lontano nella storia. A partire da Marco Polo, celeberrimo mercante e viaggiatore veneziano che raggiunse la Cina nel 1271, soggiornandovi per ben 17 anni, e dai Gesuiti, che, fin dalla fine del XVI secolo, e per tutto il secolo successivo,  popolarono le corti Ming e Qing, fino ad arrivare agli attuali rapporti economici intrattenuti tra i due Paesi, quella tra l’Italia e la Cina sembra una storia destinata a a durare nel tempo. A dimostrazione di ciò giunge una tendenza sempre più importante all’interno della società italiana, la graduale introduzione della lingua cinese come materia curriculare nei programmi delle scuole medie superiori .

L’insegnamento del cinese in Italia ha radici storiche ben note. Basterà citare il gesuita Matteo Ripa (1682-1786), che, dopo un soggiorno nel Paese di mezzo, fondò al suo ritorno, nel 1724, il Collegio dei Cinesi a Napoli, con lo scopo di fornire preparazione religiosa  agli aspiranti sacerdoti cinesi e di formare interpreti italiani esperti nelle lingue dell’Estremo Oriente. Il Collegio dei Cinesi fu il primo nucleo di quella che oggi è l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, prestigioso ateneo di fama internazionale specializzato nell’insegnamento delle lingue straniere, soprattutto orientali e africane, in cui il numero di studenti di cinese è raddoppiato nel giro di pochi anni. Oltre a “L’Orientale”, l’insegnamento del cinese è attivo presso numerosi e altrettanto prestigiosi atenei italiani, quali, per citarne alcuni, l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia e “La Sapienza” di Roma. Oltre all’insegnamento universitario, trampolino di lancio del mandarino, non solo in Italia, sono gli Istituti Confucio, enti finanziati dal governo della Repubblica Popolare Cinese finalizzati alla diffusione della lingua e della cultura cinese nel mondo.

Se gli studi sinologici a livello universitario o privato sono ormai un dato di fatto che non desta più sorpresa, ciò che rappresenta un’assoluta novità degli ultimi anni è l’introduzione di tale disciplina nelle scuole superiori. Si tratta di una tendenza iniziata in Lombardia, dove, in scuole come il Liceo Linguistico Alessandro Manzoni di Milano, si tratta di una realtà concreta ed efficiente da oltre cinque anni.  L’esperimento lombardo è stato poi imitato da altre regioni italiane, non ultima la Campania, dove attualmente  esistono una decina di istituti di diverso indirizzo in cui sono attivi corsi di lingua e cultura cinese. A parte i casi, ugualmente numerosi, in cui costituisce materia extracurriculare o facoltativa, il cinese è di solito inserito come terza lingua curriculare, per cui sono previste tre ore di lezione a settimana nel biennio e quattro ore del triennio (compresa un’ora di conversazione con docente madrelingua).

Vista la rapidità con cui quello che all’inizio si presentava come un esperimento un po’ ardito sta diventando una realtà di fatto con cui l’intero sistema scolastico italiano è tenuto a confrontarsi, è facile dedurre che tale novità è stata accolta di buon grado dagli studenti italiani, che mostrano un inaspettato interesse e curiosità nei confronti di una lingua e di una cultura così differente dalla propria, e delle loro famiglie, che vedono nello studio del cinese un’opportunità concreta di  futura crescita professionale dei propri figli, data l’intensità degli scambi commerciali, economici e culturali tra i due Paesi.

Naturalmente, il percorso non è privo di problemi. Si presenta con sempre più urgenza, infatti, la necessità di rispondere a problematiche quali la formazione di insegnanti preparati e la predisposizione di materiale didattico adeguato alla fruizione di un utente madrelingua italiano in età scolastica, non ancora abbastanza maturo da potersi confrontare con  quello tradizionalmente utilizzato in ambito universitario, tra l’altro per la maggior parte in lingua inglese. Sarà inoltre necessario, se non vitale, incrementare gli scambi scolastici tra i due Paesi, favorendo un confronto culturale che potenzierà e arricchirà quanto già oggetto di studio.

Tirando le somme, si può affermare che l’insegnamento del cinese nelle scuole italiane è un fenomeno che molto probabilmente continuerà e si intensificherà nei prossimi anni, positivo sotto molti punti di vista.  Oltre all’innegabile valore aggiunto che la conoscenza della lingua cinese fornisce al profilo professionale degli studenti di oggi, destinati a confrontarsi in futuro con un mondo del lavoro e una società sempre più proiettata verso l’Oriente, quello che sembra il merito maggiore di quest’esperienza è il suo valore umano e sociale. Confrontandosi fin da adolescenti con realtà altre, infatti, gli studenti italiani saranno inevitabilmente portati ad aprire i propri orizzonti e ad ampliare la propria visione del mondo, in un’ottica interculturale in cui, ci si augura, i luoghi comuni e i pregiudizi con cui ancora oggi ci si approccia all’universo cinese, e in generale al diverso dal sé, sono destinati gradualmente a svanire.

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