Illustriamoci un po’ di Letteratura

Yuko Shimizu è un’illustratrice giapponese che lavora a New York.

Ho trovato per caso i suoi lavori, seguendo il link potete visionarne opere e progetti. Con questo post desidero però concentrarmi su alcune illustrazioni da lei eseguite per il  “New York Times Book Review”.

Le immagini non avrebbero forse bisogno di alcuna ulteriore spiegazione ma, essendo stata piacevolmente colpita dalla bravura di questa artista nel creare immagini al contempo piacevoli e incisive, vorrei ripercorrere brevemente alcuni legami tra l’illustrazione e l’opera di riferimento, in maniera non propriamente ortodossa, con l’obiettivo di aggiungere pennellate di testo a quello che le immagini spiegano a loro modo e solo in parte (perché, com’è ovvio nel caso dell’illustrazione, sono state concepite per essere “discrete” e accompagnare un testo esplicativo -la recensione-, al quale rimando per approfondimenti più esaurienti dal punto di vista critico).

Scorrendo velocemente le immagini notiamo subito la scelta estetica “uniformante” dell’autrice: i colori dominanti di tutte le illustrazioni sono il rosso e il nero, con l’aggiunta di un verde che vira grigio. Sono i colori della Cina, ovviamente, ma soprattutto della Cina comunista. Si nota inoltre lo studio e la dimestichezza da parte dell’artista che non si spaventa a scomodare simbologie antiche e moderne e ricalcare la pittura classica cinese, con risultati molto interessanti.

La prima immagine è tratta la copertina del 3 febbraio 2013 e illustra “Il Supplizio del Legno di Sandalo” del Premio Nobel per la Letteratura di Mo Yan.  Si tratta di un’immagine complessa, la più complessa tra le illustrazioni qui a seguire, poiché si dispiega nel tentativo di riassumere, in un insieme di simboli ambivalenti, alcune delle complessità di un testo letterario intricato.

Centrale è il volto, la maschera del Re nell’ Opera di Pechino, forma d’arte popolare cinese, che in questo romanzo viene incarnata da uno dei cinque protagonisti, il quale, dopo aver dedicato l’intera vita all’ Opera dei Gatti, veste ora i panni del ribelle contro un potere usurpatore e ingiusto nella cornice della Rivolta dei Boxer (primi del Novecento).

Gli occhi sono chiusi e dalle labbra dell’attore-cantante così mascherato sgorga un rivolo denso di sangue. Un crisantemo (simbolo di nobiltà e valore, ma anche di resistenza e longevità) gli copre la bocca (o gliela tappa?) e il sangue, la barba e altri boccioli, di pruno, si rovesciano al suolo come una cascata.

L’arte popolare torturata a morte, un’immagine di violenza, supplizio e passione accentuata anche nell’ incontro tra il due dei “Quattro Gentiluomini”, soggetto tipico della pittura tradizionale, e i fiori di pruno -simbolo di rivirtù, purezza ma soprattutto lotta rivoluzionaria- in una potente  metafora della storia civile e umana della Cina d’inizio Novecento che il romanzo stesso incarna.

 

La seconda illustrazione è già d’impatto più allegra e gioiosa, un’immagine d’amore. Il romanzo del 1995 di Wang Anyi, vincitore del Premio Letterario Mao Dun  nel 2000, “Song of Everlasting Sorrow” (La canzone dell’ eterno rimorso”) è stato pubblicato in lingua inglese solo nel 2008. Ad oggi Wang Anyi è pilastro della letteratura femminile contemporanea, ma la sua scrittura è andata maturando, dai tempi dell’acerba Trilogia dell’Amore, già importante perché simbolica di quel periodo post-apertura in cui la letteratura femminile cominciava gradualmente a riappropriarsi della propria soggettività, della propria intimità e del proprio corpo, in una riscoperta anche linguistica. “Song of Everlasting Sorrow” è una storia di vita e una storia di Shanghai, l’illustrazione dovrebbe catturare la scena dell’incontro tra la protagonista Wang Qiyao e il fotografo artefice della sua fama di donna bellissima (e alla moda), Miss Shanghai. Un ritratto delicato in cui i volti dei soggetti sono nascosti dal panno che copre l’apparecchio fotografico (siamo al tramonto degli anni ’40) e la texture dell’elegante abito (qipao) di lei fiorisce sullo sfondo, come a simboleggiare lo sbocciare di un amore. A ben guardare però, né dagli abiti né da alcun dettaglio si deduce che la figura che scatta la foto sia un uomo, anzi: le scarpette rosse e il qipao sono perfettamente identiche a quelle della donna fotografata. Viene qui forse suggerita la nostalgia di Wang Qiyao stessa che scatta una foto alla fiorente e splendida immagine di una sé (e di una Shanghai) all’apice della giovinezza?

 “Servire il popolo”  è l’opera “scandalosa” di Yan Lianke. L’illustrazione, anch’essa del 2008, sarebbe potuta essere piccante, ma forse per l’autrice sarebbe stato effettivamente troppo scontata. Sullo scenario, un paesaggio dipinto a imitazione dello stile pittorico classico cinese, si proietta una figura senza corpo, di cui intuiamo le fattezze ma di cui vediamo solo il berretto e la divisa dell’Armata rossa. Al centro, dove dovrebbe essere il viso, il libretto rosso di Mao. Simboli del Comunismo svuotati di fronte a noi, oggetti che sostituiscono i soggetti: è questo il messaggio ultimo del romanzo di Yan Lianke che, tra le altre cose, mira a dissacrare i miti e i dogmatismi di un’epoca che non va lasciata alle spalle e dimenticata. Un appunto Yan Lianke lo fa con un’apprezzabile ironia pungente che questa illustrazione non suggerisce.

Segue un altro romanzo di Mo Yan, “Le Sei reincarnazioni di Ximen Nao”. In cielo, come sospeso, un maiale (simbolo della famiglia, della casa), morto, e di nuovo il sangue, il suo sangue che colando bagna e nutre un paesaggio montuoso sottostante. Il sangue/cascata ribolle nella vallata. Un’immagine cupa, di morte e di vita allo stesso tempo, che riprende la trama dell’opera di Mo Yan in cui il protagonista, un proprietario terriero dello Shandong viene perseguitato e ucciso durante la riforma agraria del 1948. Le sue terre redistribuite tra i contadini nullatenenti sono sangue vivo per loro, ma la storia non si ferma qui e Ximen Nao sarà costretto a reincarnarsi ancora e ancora mentre la storia del comunismo (e dei suoi fallimenti) s dispiegherà accompagnandolo verso un’ultima incarnazione.

L’illustrazione seguente è per un saggio pubblicato questo febbraio intitolato “Maestri di subordinazione”.

In Cina il “bureaucracy lit” (“esposizione della Burocrazia”– dove per burocrazia si intende burocrazia corrotta-) è un genere narrativo a sé stante. E vende tantissimo.  Questo saggio di Louisa Lim ripercorre e analizza la storia del genere, i racconti che svelano e gettano luce (lit) sulla corruzione all’interno dell’intricato sistema burocratico cinese. Un problema millenario.

Il genere del “bureaucracy lit”, anche chiamato “officialdom lit”,  ha raggiunto il suo apice in questi anni. L’opera di Wang Xiaofang, “Shizhang Mishu”, letteralmente “Il Segretario del Sindaco” (100,000 copie vendute dal 2009), è quella in primo piano nell’illustrazione di Yukio. Gli altri testi mostrati da queste mani sollevate sono appartenenti al medesimo genere. In quest’illustrazione l’autrice riprende l’iconografia maoista (le mani sollevate a sorreggere il Libretto Rosso di Mao) per sottolineare con ironia l’importanza di questa “nuova” moda letteraria figlia (e spia) di un’epoca di grossi sconvolgimenti politici, sociali e civili.

 

L’ultima illustrazione,  ancora in tonalità di rosso/verde/grigio, ci mostra un gruppo di famelici lupi che assalta la Muraglia Cinese. L’opera a cui fa riferimento è “Lang Tuteng (Il totem del Lupo)”, di Jiang Rong, uscita in inglese nel 2008. L’autore, Lü Jiamin –per chi ricordasse il movimento della Primavera di Pechino del 1978 egli era caporedattore della rivista letteraria ad essa associato-, ha scritto il romanzo con lo pseudonimo di Jiang Rong per proteggersi da eventuali ripercussioni politiche. Il racconto di Lü è infatti un racconto semi-autobiografico sull’esperienza di “rieducazione” di un giovane di Beijing nelle selvagge terre della Mongolia Interna: i lupi si preparano ad invadere la Cina dal confine nord, sembra suggerire l’illustratrice.  E con l’autore, nella sua rappresentazione anche Yukio si schiera proprio con questi maestosi lupi (la cultura Mongola), grossi, aggressivi, selvaggi e potenti, rossi,  a sfavore delle pecore cinesi con la loro cultura della sottomissione, rintanate dietro una Grande Muraglia trasformata in un mucchietto di fragili e microscopiche mura.

 

 

 

 

 

 

Tutti i diritti sulle immagini appartengono a Yuko Shimizu, l’immagine in evidenza del post, come anche le altre, è tratta dal sito dell’artista sulla piattaforma  Behance.

 

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