Ad un occhio disattento, in Via Pistoiese, nell’ultimo anno, non è cambiato nulla.
Una lunga strada, di cui due terzi a senso unico, che porta dalla periferia ovest di Prato al cuore della città (Piazza San Domenico). Una strada battuta dagli autobus della linea cittadina ed estemamente trafficata a tutte le ore del giorno.
Con riferimento ai dati raccolti nel dicembre 2011, i residenti di Prato sono 188.579 (più o meno la stessa cifra dell’anno precedente). Di questi, 30.186 sono stranieri e poco meno della metà (13.056) sono cinesi. Dando un’occhiata ai grafici del Comune di Prato (particolarmente attento ad evidenziare la “componente cinese” nei report sulla popolazione residente), si può notare come la popolazione cinese non sia di fatto aumentata negli ultimi 5 anni (al contrario di quello che si pensa) e si sia invece stabilizzata, occupando un 7% circa sulla popolazione totale.
Con questi numeri, Prato può vantare la più grossa comunità cinese italiana (in proporzione al numero di abitanti) e questa comunità ha oramai investito in tutte le attività cittadine, costruito nelle periferie, popolato interi quartieri. Questo fenomeno di acquisizione di una grossa fetta dell’economia da parte della comunità cinese ha avuto inizio con quello che i Pratesi reputano un vero e proprio furto, l’appropriazione del settore tessile, una volta il vanto della ricca città di Prato. Detta “la città dalle cento ciminiere” per la presenza di numerosissimi opifici tessili, Prato deve la sua svolta economica all’ Unità d’Italia, in seguito alla quale iniziò una forte industrializzazione.
Durante gli ultimi vent’anni però il tessile Pratese ha dovuto cedere di fronte ai prezzi estremamente concorrenziali della manodopera extracomunitaria. Dagli anni ’90 la città ha subito quel massiccio processo di immigrazione che è oggi sotto costante osservazione. La manodopera a basso costo (in maggioranza cinese) si rese disponibile alle aziende interessate ad un nuovo prodotto, un prodotto meno qualificato ma più economico e quindi di maggiore impatto sul mercato. Poco dopo arrivarono gli investimenti, gli imprenditori dalla Mainland e la comunità cinese ebbero le proprie aziende, completamente autogestite, con le proprie regole.
Via Pistoiese è il quartiere residenziale della comunità cinese. Un quartiere popolare e popoloso, una terra che, ad eccezione di saltuarie pulizie stradali, assomiglia più alla terra di nessuno che ad una porzione del pulito e benestante suolo di Prato. A poche centinaia di metri sorgono gli edifici “bene” del centro, ma Via Pistoiese è un luogo abbandonato anche dalle forze dell’ordine.
Di recente, durante una rissa, un ragazzo ha provato a chiamare la polizia affinchè intervenisse, sentendosi rispondere che a Via Pistoiese, loro, non sarebbero venuti.
Un occhio disattento potrebbe percorrere questa strada, farsi colpire esclusivamente dal folklore. Una strada i cui stretti marciapiedi sono interamente occupati da gruppi e gruppetti di cinesi che chiacchierano e in cui tutte le insegne sono scritte in cinese ti può far sentire incuriosito e imbarazzato allo stesso tempo. Se entri in uno di quei negozi, è altamente probabile che non sapranno risponderti in italiano.
I turisti vengono di proposito, si fanno un giro, ridacchiano e si allontanano, curiosi, con una storia da raccontare e qualche rifiuto da incassare. I negozi vendono prodotti importati e gli odori sono quelli dei grosso mercati alimentari cinesi DOC.
Ma nascosto in questa spessa linea di demarcazione, che incuriosisce il passante ed infastidisce il residente, vi è un groviglio di componenti culturali, sociologiche, economiche e finanche politiche. Su questo groviglio, impossibile da indagare in questa sede, stanno lavorando il molti: dalle associazioni culturali agli studiosi del fenomeno delle “seconde generazioni”. L’Associazione ALP da un paio d’anni organizza, per esempio, corsi gratuiti d’Italiano per stranieri ed è stupefacente notare come un numero altissimo di giovani partecipi a quest’iniziativa. Ciò dimostra sia la loro volontà di imparare e di integrarsi, sia la loro difficoltà nel farlo, nonostante l’ambiente. Iniziative culturali e incontri di scambio vengono organizzate di tanto in tanto, per tenere viva l’attenzione sull’ argomento e per mantenere il legame tra le comunità (sempre più precario) intatto.
La crisi economica ha aggravato alcune questioni di integrazione. Durante un incontro a cui ho partecipato, dalla voce di alcune donne (impiegate nel tessile) è emerso un feroce disappunto nei riguardi di quello che hanno chiamato razzismo.
I controlli, dicono, sono aumentati in maniera esponenziale e la guardia di finanza si accanisce solo contro di loro, che sono onesti. O la cui disonestà è, comunque, dovuta ad una mancata conoscenza di alcuni piccoli dettagli della legge. Non abbastanza per ridurre una famiglia in ginocchio, né da giustificare le violenze gratuite e gli abusi della polizia.
Parlava con rabbia e lacrime, la signora, forse non sapendo che molti imprenditori e famiglie italiane la pensano esattamente alla stessa maniera.
Un occhio attento noterà, su Via Pistoiese, negozi chiusi. Molti negozi chiusi. Cartelli della finanza, insegne smontate alla ben e meglio. Anche i “cattivi” di questa crisi, gli “sciacalli”, se ne stanno tornando a casa.
L’ubriachezza molesta del weekend (un lungo weekend) spesso sfocia in risse che la polizia si rifiuta di gestire, sono sintomi di un disagio che ha sempre caratterizzato Via Pistoiese e Chinatown in genere. Le strade, al mattino, sono sporche dei rifiuti notturni: l’abitudine a bere eccessivamente (per annegare, forse, uno stile di vita lavorativo insostenibile) è identica a quella che ho visto riversarsi per le strade della Cina metropolitana, la location è diversa. E un certo sentore di peggioramento aleggia nell’aria.
Sembra esserci un’escalation di violenze, testimoniata dalle frequentissime sirene d’ambulanza che riecheggiano tra le mura del bassi palazzetti, ad ogni ora.
Via Pistoiese rimane comunque una strada allegra, brulicante di vita. Nel parchetto adiacente, la domenica vengono organizzate partite di basket e balli di gruppo con musica proveniente dalla Madrepatria e gli attivisti cristiani distribuiscono volantini per fare proselitismo. Molti volantini finiscono direttamente per terra, ma forse alcuni avranno anche successo in questo popolo sospeso tra una forte nostalgia di una Patria che alcuni non hanno mai visto e che sognano come fosse la Terra Promessa e una vita concreta in un Paese da cui si sentono rifiutati. Anche quando il rifiuto nasce purtroppo da un’ignoranza diffusa.
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