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Esiste un luogo in Cina, da Fengjie 奉节, presso Chongqing, e Yichang 宜昌, nello Hubei, di incomparabile bellezza: le acque del Changjiang 长江, da noi conosciuto come fiume Azzurro, si sono fatte strada tra verdi montagne, scavando delle gole, alcune più strette e impervie, altre morbide e regolari, chiamate semplicemente le Tre Gole 三峡. Esse sono talmente famose che basta anche solo menzionarle ad un cinese, che questi tira fuori una banconota da 10 Yuan e te ne mostra uno dei lati. La tradizione attribuisce la scultura di queste gole a Yu, il mitologico sovrano regolatore delle acque. Questa terra ha dato i natali a Qu Yuan, il più grande poeta della Cina antica; è qui, nella cittadella dell’imperatore bianco, che Liu Bei ha affidato l’amministrazione del suo regno a Zhuge Liang, come si narra nel romanzo dei Tre Regni. La sua bellezza è stata decantata da musici e poeti durante tutta la storia cinese, da Li Bai, poeta di epoca Tang a Mao Zedong.
Tuttavia, ad un certo punto della storia contemporanea, si è deciso di costruire proprio qui la più grande opera idrica della storia dell’uomo, la diga delle Tre Gole: un muro lungo 2,3 km, che taglia di netto il corso del fiume, innalzando di decine di metri il livello delle acque e creando alle spalle della diga un enorme lago artificiale. Tutto questo in nome dello sviluppo scientifico, dell’incremento nella produzione energetica e del miglioramento nel controllo delle acque. La realizzazione della diga ha avuto in realtà devastanti effetti sia in ambito ecologico che sociale , la cifra degli sfollati costretti ad abbandonare le proprie città è superiore al milione e centinaia sono i siti storici ormai sotto il livello delle acque. In Cina se n’è parlato tanto, qui da noi c’è voluto il film di Jia Zhangke, Still Life, leone d’oro nel 2006, per far conoscere al grande pubblico questa realtà.
Questo il background che mi ha portato, nel lontano marzo 2011, a partire senza progettare nulla, volevo semplicemente vedere. Da Tianjin, città nel nord-est del Paese in cui vivevo, ho preso un treno per Wuhan, da lì ho acquistato un altro biglietto alla volta di Yichang, città di imbarco più vicina. Sono approdata a Yichang completamente stremata: delle oltre 30 ore di viaggio ricordo con chiarezza solo l’ultimo tratto in treno, era la prima volta che vedevo un pezzetto di campagna: piccoli campi, stradine ondulate, rivoli, forse canaletti artificiali, talvolta siepi o alberi da frutto, piccole figure tra i campi, cappelli triangolari, schiene ricurve, qualcuno trasportava sulle spalle aste con secchi colmi alle estremità. Il finestrino filtrava le immagini e la velocità ne sfumava i contorni, eppure la sensazione è stata bellissima. Yichang di contro mi è sembrata il luogo più brutto mai visto prima: tipica città cinese in via di sviluppo, ai lati delle strade scorrono grigi condomini con i loro malconci condizionatori d’aria, al piano terra attività commerciali e gustoso cibo di strada, i KFC e i Karaoke si concentrano tutti all’incrocio di due viali che fanno da centro cittadino. Nient’altro. Migliaia di paia di occhi spalancati e bocche aperte che ti fissano insistenti, penso di essere stata per molti un miraggio quel giorno.
Ho scoperto, solo il giorno dopo al porto, che l’attraversamento delle Tre Gole non sarebbe stato semplice come credevo, né tantomeno breve: l’unico modo per attraversarle tutte è imbarcarsi su navi da crociera per 5-7 giorni, la tratta è Yichang-Fengjie, tuttavia si preferisce partire da Fengjie e scendere verso Yichang seguendo lo scorrere delle acque. Ho dovuto mio malgrado scegliere tra le gole e ho optato per la più vicina a Yichang, la Gola di Xiling 西陵峡, con una tappa alla famosa diga che la separa dalle altre due, più corte ma più magnificenti: la gola di Qutang 瞿塘峡 con i suoi picchi montuosi e la gola di Wushan 巫山峡e i suoi verdi dirupi, entrambe alle spalle di quella diga così alta che sarebbe stata necessaria mezza giornata solo per attraversarla.
Il battello imbocca comodamente l’ampia gola di Xiling: ai lati verdi montagne le cui vette scompaiono tra banchi di nuvole basse e fumose, al centro l’acqua scorre via placida, affollata da chiatte che trasportano carbone ed imbarcazioni per turisti. Ebbene si: tutta la zona è ormai un’area turistica, accessibile solo attraverso mezzi messi a disposizione dalle agenzie locali, che seguono percorsi obbligati. Dopo tre ore di navigazione siamo approdati a Sandouping, un paese di sfollati, trasferiti in un punto più alto del versante montuoso rispetto alla sua originaria collocazione. La cittadina è piccola, le case sono bianche e i tetti neri e spioventi ricordano in parte l’architettura di Suzhou. Persino il tempio è stato ricostruito, con l’accortezza di mantenere intatte le fradice colonne lignee del tempio originale, allagatosi svariate volte prima di essere portato 60m più in alto. Da qui c’è un servizio di bus che conduce fino alla fantomatica diga delle Tre Gole. A vederlo di profilo, il precipizio che separa il livello delle acque ai due lati del muro è impressionante, frontalmente invece fa rabbrividire l’immensa massa d’acqua che si nasconde dietro quel fragile muro. Ai lati numerosi slogan e cartelloni pubblicitari presentano la diga come “la grande diga verde” o “la diga che protegge l’ambiente” e la collocano nel mezzo di una natura incontaminata, come se ne fosse una propaggine naturale perfettamente integrata in essa. In alto torreggiano enormi tralicci che trasportano l’energia elettrica di mezza Cina.
Il secondo giorno di navigazione, sulla via di ritorno per Yichang, ci fermiamo presso un vecchio villaggio di pescatori, o meglio una totale ricostruzione: tra le baracche in legno e le travi delle palafitte si intravedono di tanto in tanto uomini e donne il cui abbigliamento, completamente anacronistico, lascia pensare che siano dei figuranti. Incontro un gruppo di ragazzi cinesi che sono arrivati fin lì in moto da Wuhan, insieme a loro mi inerpico lungo il versante del monte e scopriamo una natura incontaminata e paesaggi mozzafiato. Mi dicono che è possibile attraversare le gole anche in moto o auto, lungo una stradale che zigzaga attraverso esse.
Il posto è incantevole, fuori dal mondo, lontano da qualunque cosa io avessi mai visto prima, eppure mi rimane l’amaro in bocca per la difficoltà e la lentezza negli spostamenti, ma soprattutto per la sensazione che forse questo posto andava visitato qualche decennio fa, prima che la mano dell’uomo ne cambiasse per sempre la sua connotazione geografica.
Mentre l’imbarcazione scivola lungo le acque mi avvicino ad un gruppo di persone raccolte attorno ad un vecchio originario del luogo, che raccontava della sua giovinezza, di quando era solito salire in barca di notte per pescare nelle acque solitarie dello Yangtze, tra le alte montagne che lo circondavano. Ora le montagne, dice, non sono più così alte, l’acqua si è alzata e ha portato le barche a toccare le nuvole.
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