Il “caso australiano” di Wu Wei, tra razzismo e censura

A causa di una serie di post pubblicati sulla piattaforma di microblogging Weibo 微博, il professor Wu Wei 吴维, capo-tutor presso la Business School dell’Università di Sidney, è stato accusato di razzismo e condotta inappropriata. In seguito a queste accuse, lunedì ha rassegnato le dimissioni e, ad oggi, non ha concesso interviste. In questi giorni,  Wu Lebao 吴乐宝, che si autodefinisce ex dissidente e parte delle forze anti-cinesi all’estero (wai fanghua shili 外反华势力) ha lanciato una petizione per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sul “caso Wu Wei”, anche definito “caso australiano (Aozhou shier 澳洲事儿)”.

Molti gli articoli legati all’accusa, tra cui, ad esempio, quelli di Honi Soit e Guancha, e questa traduzione in Inglese dei post di Wu Wei. Gli articoli difendono le accuse di razzismo scagliate contro il prof. Wu, decontestualizzando le sue affermazioni o introducendole con commenti ironici.

Confrontandosi con i post “incriminati”, reperiti nella loro forma originale sulla piattaforma Weibo, ci si accorge facilmente dell’utilizzo strumentale di questi da parte degli accusatori. Tuttavia, sembra comunque evidente il disinteresse del professore nel difendere se stesso dalle accuse rivoltegli attraverso i commenti ai post: lungi dallo scusarsi, egli reitera le critiche avanzate a quel modello di studente “pigro e imbroglione”, al quale egli associa un vero e proprio modello culturale. Un gruppo di studenti sempre più folto ha dunque lanciato una petizione “contro le discriminazioni”.

Due sono i punti d’attenzione, per quanto riguarda le esternazioni “social” di questo professore cinese naturalizzato australiano. In primo luogo, vi sono le accuse rivolte agli studenti cinesi all’estero, la cui condotta e il cui quoziente intellettivo vengono da Wu Wei esplicitamente criticati con l’utilizzo del termine tun 豚 , maiale, e con riferimenti alla pratica di pagare ghost-writers per l’elaborazione di saggi. In secondo luogo, vi è un’altra questione, che non riguarda strettamente il rapporto professore-studenti, ma che coinvolge la condotta anti-cinese e dissidente di Wu Wei, il quale ha pubblicato su Weibo un video nel quale dà fuoco al suo passaporto.

Il gruppo di cinesi australiani che ha dato inizio al movimento di appoggio al prof. Wu, poi diffusosi fino a raggiungere un numero di mille firme, si è espresso riguardo alle offese esplicite del professore contro i suoi studenti cinesi (che definisce liuxue tun 留学豚, letteralmente studenti-maiali all’estero), dando ad esse un’interpretazione politica. Quello che i difensori di Wu Wei sostengono è che in queste esternazioni, l’uomo intendesse criticare il malcostume accademico, influenzato dal malgoverno della Repubblica Popolare, che genera quegli studenti che più volte sono finiti sotto accusa della comunità accademica internazionale, per superficialità e plagio.

Questo gruppo di sostenitori del professore – che ad oggi include anche artisti dissidenti della fama di Ai Weiwei- suggerisce che il prof. Wu intendesse mandare “messaggi in codice” (l’analisi dei testi di Wu Wei e dei loro legami col gergo dissidente la trovate qui). Più che offendere i suoi studenti gratuitamente, il prof. Wu si sarebbe dunque espresso contro i propri connazionali succubi della propaganda (il termine tun 豚, utilizzato a scopo derogatorio, riecheggia haitun 海豚, delfino, utilizzato per definire i nazionalisti acritici).

Ma è soprattutto l’atto di bruciare il passaporto che diviene iconico, per quei “circoli dissidenti” che difendono la libertà di espressione del professore.

Il cartoonist Ba Diucao 巴丢草 ha realizzato il manhua 漫画 (vignetta satirica) simbolo del movimento di appoggio al professore, denominato appunto “fuck the passport 草泥马护照”. Con questa immagine, il cartoonist “cita” il video pubblicato da Wu Wei, oltre al famigerato caso del “cavallo di erba e fango“, meme che ha spopolato in Cina nel 2009 ed è diventato il simbolo della lotta alla censura.

cao ni ma passport

Il movimento ha coinvolto diversi netizens, che hanno contribuito attivamente, inviando proprie fotografie: il soggetto di queste immagini riproduce il manhua di Ba Diucao, “diti medi” rivolti contro passaporti cinesi.

Il 20 aprile, Ba Diucao cita ironicamente anche Ai Weiwei, che definisce “il più grande razzista”, postando su twitter questa famosa fotografia dell’artista dissidente.

 

ai weiwei

 

“Fuck the passport” è dunque spia di una vera e propria scissione. Da una parte, i cinesi che, come il prof. Wu, molto hanno da criticare al governo cinese e al suo modus operandi (in particolare rispetto al soft power) e che vedono nella sua persecuzione un atto repressivo, tanto più grave poiché inflitto da una parte della stessa comunità studentesca cinese di Sidney (che si dimostrano così, ancora una volta, totalmente obnubilati dalla propaganda di partito).  Dall’altra studenti che, sentendosi rappresentati maggiormente da generici concetti di patria e cinesità, che da un modello atipico di professore cinese-non-cinese (Wu Wei ha ottenuto la cittadinanza australiana nell’aprile 2015), si riuniscono con l’obiettivo di proteggere la propria sensibilità culturale e i propri interessi accademici.

In conclusione, non si reputa tanto utile dare un giudizio categorico (o peggio, morale) sul comportamento del professore, quanto constatare come questo caso permetta di riflettere su una specifica dinamica culturale, innescata online. Ogni giorno, gli artisti coinvolti (in particolare il cartoonist Ba Diucao), aggiungono pepe alla vicenda pubblicando immagini satiriche. Seguiremo dunque la vicenda del professore con curiosità e interesse e vi terremo aggiornati.

 

 

 

 

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