di Giuseppe Lomuscio
Il vischioso aroma di caffè si mescola alla trasparente intelligibilità del tè; gli affreschi barocchi di artisti partenopei incontrano minimali rotoli di seta giunti da lontano; dagli specchi dorati dei palchetti teatrali promana una nuova musicalità, tra arpe e originali melodie tonali. É Milleuna Cina, una sette giorni di appuntamenti con la cinesità, un tuffo nel “Sogno Cinese”, quel 中国梦 Zhōngguómèng che è diventato il motto della politica del Partito Comunista Cinese a partire dal 29 novembre 2012, con Xi Jinping e lo shíbādà十八大, il XVIII Congresso del Partito.
Tanti gli appuntamenti imperdibili di questa quarta edizione, tra cui “The Remedy”, titolo della personale di Zhang Yanzi, che ha regalato al pubblico napoletano pasticche, siringhe, bisturi e tonici magistralmente dipinti su rotoli orizzontali e verticali. Un’affermazione silenziosamente potente sul male di vivere, contemporaneamente risolta dalla catarsi pittorica, dalla pulizia delle pennellate e dalla sublimazione delle suppellettili medicali.
Milleuna Cina ha offerto molto altro, fino allo spettacolo diretto da Meng Jinghui e scritto da Liao Yimei, sua moglie, dal curioso titolo “Rinoceronti in amore”(恋爱的犀牛 Liàn’ài de xīniú).
Lo storico teatro Mercadante di Napoli ha fatto da cornice ad uno spettacolo decisamente moderno che, a partire dal 1999, ha riscosso uno straordinario successo presso il pubblico giovane cinese, tanto da risultare nel 2009 la seconda pièce teatrale più popolare nei teatri universitari dopo la leggendaria “Tempesta”(雷雨 Léiyǔ- 1933) di Cáo Yú. Lo spettacolo racconta l’amore, quello di Ma Lu per la sua vicina di casa Mingming, isterica e bisbetica, indifferente o forse solo colpevole di essere innamorata di un altro uomo. Ma Lu è cocciuto come Tula, il rinoceronte di cui si prende cura allo zoo, quello stesso rinoceronte nero che ha perso l’appetito e che mai si è accoppiato. Siamo nella Cina contemporanea, quella della frenesia metropolitana, dei grattacieli, del consumismo e dei venditori porta a porta, della lotteria e dei quiz demenziali che pretendono di insegnare i sentimenti. Ma Lu è un rinoceronte che annaspa tra il cemento della metropoli: vive la soggettività dell’istinto, col suo naso a patata in grado di riconoscere puttane, segretarie e casalinghe alle prese con la frittura. É alienato Ma Lu e non comprende il linguaggio matematico, capitalistico e consumistico della modernità, proprio come quando non intuisce il senso della promozione 3×1 offerta da Spazzolino, promotore della Huichen. Ma Lu è un pazzo che insegue il suo cuore e persegue, invano, una sincronizzazione con la modernità: prende lezioni d’inglese, di guida, d’informatica e di training all’amore; traduce i sussulti del cuore in un linguaggio patetico, in versi stupidamente adolescenziali (“Tutti i vigili agli incroci accendono la luce verde per farti passare”), quasi incapace di adattare l’anima al mondo che gli circonda. É un rinoceronte che deve ammazzarsi per continuare a provare il suo amore, un bianco tra tanti neri, un corpo che deve fuggire <oltre i confini infiniti della galassia, al di sopra della vita>.
Nonostante la drammaticità della storia, la messa in scena è decisamente divertente e divertita: la regia di Meng Jinghui mescola poesia e cultura pop, filastrocche tinte di rosso comunista, di comuni popolari e canzoni rock. Uno spettacolo sull’individualismo soggettivo e sulla materialità spietata, un ritratto moderno e veritiero della gioventù cinese.
Gli studenti dell’Orientale avevano tradotto qualche anno fa il testo di “Rinoceronti in amore”e messo in scena uno spettacolo diretto da Lorenzo Montanini. Una profezia forse: siamo tutti dei rinoceronti in amore…
Giuseppe Lomuscio e Daniela Belato con il cast dello spettacolo
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