Hong Kong, la rivoluzione efficace. Un italiano racconta gli scontri.

 

La protesta di Hong Kong contro la politica di Pechino ha occupato ossessivamente negli ultimi mesi giornali e televisione.

La realtà asiatica è nuova a questo tipo di spettacolarizzazione mediatica delle proteste. È molto semplice per noi occidentali cadere nell’errore di abbandonarsi ad interpretazioni semplicistiche o filtrate attraverso una personale storia di rivoluzioni civili. Francesco Marascia, un insegnante di italiano che vive a Hong Kong ed ha partecipato in prima battuta agli scontri, ci ha aiutato a capire cosa succede all’interno del movimento e cosa si prova, da occidentale, a partecipare in maniera attiva alla protesta.

 

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Come sei venuto a contatto con il movimento e cosa significa per te parteciparvi?

Del movimento di OccupyCentral ne avevo già sentito parlare prima di arrivare qui, ma in occasione della manifestazione del 1 luglio, l’anniversario della restituzione di Hong Kong alla Cina, ho potuto per la prima volta rendermi conto di quanto fosse diffuso il malcontento contro la Mainland e le politiche illiberali di Pechino. In quell’occasione l’attenzione si era concentrata sul White Paper, ovvero una serie di regolamenti “suggeriti” dal partito centrale per la zona di Hong Kong. Era molto forte anche la richiesta di elezioni libere per il 2017. Successivamente ho assistito al successo della raccolta firme per il suffragio universale e alla grande manifestazione in memoria dei fatti di Tian ‘an men. Mi è stata chiara in quel momento la voglia di identità “nazionale” e la frustrazione degli abitanti di Hong Kong, costretti ad essere parte di qualcosa in cui non credono. Sentimenti che appartengono non solo ad una piccola comunità di intellettuali, ma a studenti, professionisti ed anziani che sentono minacciate le proprie libertà personali.

Da occidentale e soprattutto da persona che ha vissuto a lungo in Cina, mi sono da subito entusiasmato alla questione della coscienza civile. Anche i miei studenti mi hanno aiutato a capire più a fondo le ragioni di questo sentimento, esploso poi in questi giorni.

I manifestanti sono spinti maggiormente da motivi economici o politici? Qual è la loro composizione sociale?

La composizione dei protestanti non è molto eterogenea. Gran parte di loro sono studenti universitari o anche più giovani, sopratutto ora che la protesta sta andando avanti da tempo. Hanno partecipato comunque anche numerosi professori, intellettuali, e attivisti di diverse associazioni. Molti anche i pensionati che per diverse ragioni hanno supportato e supportano la protesta.
La classe lavoratrice ha partecipato in numero più esiguo e principalmente nei primi giorni, ma in una città come Hong Kong non ci si può permettere di non lavorare per troppo tempo. Inoltre molti non approvano i metodi degli studenti e comunque sanno di non poter fare a meno dei rapporti e dei commerci e dei soldi cinesi. La classe media è quindi caratterizzata molto più da real politic e pragmatismo.

I manifestanti riconoscono e rivendicano un legame con il movimento mondiale di Occupy?

La realtà di Occupay Central è diversa da quella mondiale, sopratutto adesso che si è unito alla protesta degli studenti ed è di fatto una variegata commistione di diverse anime.
Occupy Central nasce come costola anti sistema sulla scia dei movimenti mondiali, ma ben presto ha perso la prospettiva anti capitalista e avversa alle banche, cominciando a cavalcare il crescente movimento per la democrazia e per la richiesta del suffragio universale.
OccupayCentral non chiede un cambiamento di sistema economico, né si pone come suo antagonista.

 

Da occidentale riesci a cogliere con occhio diverso, forse più critico, sfumature e contrasti di cosa succedendo tra le strade. Ci racconteresti un episodio o una scena in particolare che ti ha colpito?

La protesta di questi giorni, l’occupazione delle strade e delle zone  fulcro della città  è qualcosa di strano e nuovo anche per me, che da sempre sono abituato alle lotte e alle manifestazioni di stampo “italiano”. Da subito sono rimasto  spiazzato dalla capillare organizzazione logistica, ma al tempo stesso era ed è evidente come questo tipo di esperienza sia una novità  per la maggior parte dei giovani che sono coinvolti. È chiaro e forte il sentimento che qualcosa di unico stia succedendo per le strade. Sicuramente sono diffusi un po’ di ingenuità e facili entusiasmi. La dedizione e l’assenza di violenza e anche di rabbia è  piuttosto straniante per chi è abituato agli scontri europei. Al tempo stesso dopo la prima giornata in cui sono stati lanciati i lacrimogeni, si è avvertita spesso anche una mancanza di tensione, un po’ di noia strana. Encomiabile è comunque l’importanza che questo movimento sta dando alla propria reputazione, quasi a rimarcare attraverso efficienza, non violenza e purezza, la propria diversità ed identità hongkonghina.

Quando vedi una ragazza di 17 anni che mentre si allontana dai lacrimogeni, raccoglie le bottiglie vuote di plastica, per la raccolta differenziata… beh, resti stupito!

Certo però fa strano vedere che il più grande provider di cibo per le strade sia il Mac Donald… inoltre c’è la totale assenza di spirito festoso, per non corrompere la protesta. Sono tutti molto seri. Un po’ troppo.

Il chief executive Leung ha fallito nel requisito base per il buon governo alla cinese, ovvero mantenere l’armonia. Quanto credi che la sua figura sia stata un incentivo allo scoppio delle proteste e quanto invece lo sia stato il bisogno di una forma diversa di gestione?

Sicuramente la figura del chief executive era sulla graticola già prima della manifestazione. Una serie di politiche completamente assoggettate a Pechino aveva già sgretolato la sua credibilità. Probabilmente Leung non ha mai avuto la percezione della forza e della diffusione della protesta. Non  solo pochi studenti, ma anche imprenditori, anziani e professori sono sulle barricate. Questo è stato chiaro con l’infelice scelta di uno scontro duro e violento nei primi due giorni, che non ha fatto altro che allargare il fronte della protesta, creando solidarietà e rabbia da parte dei cittadini e della comunità internazionale.

Hai facile accesso ai media occidentali? Ci dai una tua opinione su come i media stiano gestendo la diffusione delle informazioni relative alla protesta?

I media sono tutti accessibili. E tutti stanno seguendo in modo particolareggiato le vicende. I social network si sono rivelati una potentissima arma per diffondere rabbia ed indignazione contro il governo. Ovviamente c’è anche una forte componente di disinformazione e di retorica ma questo credo sia normale.

In Occidente c’è una concezione della democrazia piuttosto condivisa e costruita in secoli e secoli di teorie, dibattiti, eventi storici; nella relativamente moderna Hong Kong, crogiolo internazionale di popolazioni ma pur sempre asiatica, come viene percepita la democrazia? Un valore, uno strumento, una moda?

Secondo me, il sentimento più diffuso tra la maggioranza degli studenti  e di chi protesta è più il desiderio di non essere Cina, che una vera e propria coscienza della democrazia e delle responsabilità civili che da essa derivano. Tutti sono spaventati dall’idea di perdere tutte quelle libertà che in Cina sono negate. E visto che la classe dirigente non è in grado di difenderle, ecco che il voto  appare come una difesa plausibile

 Hong Kong ha sempre coltivato un desiderio di autonomia ma ha deciso di evitare lo scontro diretto con Pechino aspettando che fosse la Cina a concedere spontaneamente uno spazio di autogestione: il movimento Occupy ha interrotto questo approccio tipicamente “orientale” configurandosi come un’esperienza nuova nel contesto cinese. Quanto credi che la contaminazione culturale occidentale abbia influito sullo scoppio della rivolta e quali credi siano le immediate conseguenze?

In realtà inizialmente il movimento di Occupy è nato sulla spinta dei movimenti occidentali anti-capitalisti, riscuotendo però scarso seguito se non in una piccola cerchia intellettuale. Hong Kong è il paradiso del sistema capitalista, della finanza e delle corporazioni. E a nessuno interessa mettere in discussione questo sistema. Il problema è nato quando l’ingerenza di Pechino sulla società di Hong Kong si è fatto sempre più pressante. È iniziato con la lotta sulla riforma scolastica, sull’insegnamento obbligatorio del mandarino, sull’aumento del numero di immigrati dalla Cina che ha fatto impennare i prezzi delle case, rendendole inaccessibili alla classe media di Hong Kong, ma non ai grandi speculatori cinesi. Queste cause, più una relativa perdita di importanza economica a favore di altre città della Mainland, ha scosso “l’armonia orientale” di Hong Kong. Il movimento di Occupy si è inserito in questo contesto e se n’è fatto portavoce. Così come gli studenti che vedono pian piano dissolversi quello status speciale di cui Hong Kong ha goduto  e ha beneficiato. Questo ha portato indubbiamente ad una radicalizzazione dell’identità di Hong Kong. Che è quello appunto per cui si sta lottando in questi giorni: riaffermare le proprie diversità dalla madrepatria.

 

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Per l’immagine in evidenza credits a: https://www.facebook.com/iam.legostudio

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