L’immagine di quel ragazzo in tshirt bianca, che sfida da solo una fila di carri armati, è ormai impressa nella memoria storica della contemporaneità e ha forse lo stesso potere mediatico delle immagini del World Trade Center l’11 settembre 2011. Date indelebili, giustamente ricordate ogni anno, per non dimenticare. Così è stato anche quest’anno, in occasione del 23esimo anniversario della strage di piazza Tian’anmen, avvenuta il 4 giugno 1989.
I fatti, li conoscono tutti: la brutale decisione del governo, la violenza dell’esercito, i fiumi di giovane sangue versato in piazza e quelli di inchiostro necessari in questi due decenni per far chiarezza, per testimoniare, per condividere. Eppure i tempi cambiano e all’inchiostro sono state sostituite le battiture sulla tastiera di un computer.
Il silenzio istituzionale e mediatico in cui ancora una volta in Cina è trascorso il 4 giugno non è stata una sorpresa, le solite squadre di polizia hanno adottato le solite misure cautelative contro dissidenti di ieri e di oggi, la censura ha colpito i media attraverso le solite formule. Proibiti sul web termini sensibili come strage, Tian’anmen, anniversario, piazza, democrazia. Anche la numerologia relativa agli incidenti di Tian’anmen è stata censurata, soprattutto dopo che proprio quel giorno la borsa di Shanghai ha chiuso la sua seduta con un indice pari al -64,89 (6 -4 -1989), solo un semplice scherzo del destino? Chissà.
Sina Weibo, il maggiore microblog cinese, si è spinto oltre: netizen alla ricerca della comune emoticon raffigurante una candela, si sono visti risponde che l’emoticon era in allestimento. Persino alcuni caratteri utilizzati per evocare particolari effetti visivi sono stati censurati, ad esempio: 占占人 è il Tankman, ossia il celebre ragazzo che fronteggia i carri armati (人 è uomo, il carattere 占 ricorda la forma di un carro armato). Il portale China Digital Times propone una lista di tutti i termini, numeri, nomi propri e codici, legati agli eventi di piazza Tian’anmen e censurati in occasione dell’anniversario.
Fin qui niente di nuovo. Tuttavia le leggi del web sono facili da raggirare ed è bastato poco perché trapelassero informazioni, pensieri, emozioni, di chi ha voluto sfidare la censura: moltissime le foto (e non le emoticon) di candele commemorative sottotitolate 你知道 “Lo sai”, i post contenenti riferimenti codificati (come l’abitudine di parlare del 1989 come di “quell’anno 那年”). Utenti meno consapevoli sono rimasti colpiti dalla scomparsa improvvisa dell’emoticon, dall’impossibilità di ricercare parole semplici come candela, o oggi o ventitre anni. C’è da chiedersi se queste forme di censura non ottengano il risultato opposto, ossia non scatenino curiosità nei giovani, soprattutto delle ultime generazioni, poco o mal informate sull’accaduto. Forse gli apparati di controllo dell’informazione dovrebbero valutare se sia opportuno continuare questo gioco del gatto e del topo che internet e censura stanno giocando ormai da quando il web si è diffuso nel paese. Il ruolo del web in Cina è enorme: giorno dopo giorno esso diventa strumento per la libera diffusione di conoscenza ed informazione e concorre nella formazione di un’opinione pubblica, sempre più informata ed attenta, che ne usufruisce, sia come mezzo di informazione che di espressione. Blog, post, commenti vengono pubblicati sulla rete così come un tempo si affiggevano dazibao ai muri.
Nel “manifesto dello sciopero della fame del 2 giugno 1989” Liu Xiaobo si appellava a tutta la società cinese affinché essa abbandonasse l’atteggiamento di spettatore passivo e costituisse una propria coscienza civica che è, prima di tutto, consapevolezza dei diritti politici, senso di partecipazione, di responsabilità politica. Il seme fu allora gettato sia da studenti, che invocavano la democrazia come forma di tutela dei diritti politici fondamentali, sia dal popolo, che vedeva nella democrazia il minimo comune denominatore di quegli stati occidentali presi a modello di benessere socio-economico, in un periodo in cui le audaci politiche economiche non raggiunsero i risultati sperati, ma furono abbastanza da creare accesi dibattiti ideologici sui futuri percorsi da seguire. L’errore allora fu nell’ingenuità di credere in una rivoluzione, una forma di lotta politica soprattutto occidentale, in nome di valori occidentali, proponendo modelli economici e politici occidentali. Le rivoluzioni sono sanguinose e approdano spesso a conclusioni ben diverse da quelle prefigurate, spesso falliscono, anche da noi. Tuttavia l’appello di Liu Xiaobo sembra non sia stato vano e la prova è proprio nel web, quel nuovo “muro della democrazia” che la censura riesce solo a rendere via via più critico, ironico, consapevole.
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