Il 7 novembre L’Orientale di Napoli ha ospitato il professore di sociologia Abduresit Jelil Qarluq, della Minzu University of China (MUC, anche nota come The Central University for Nationalities) per la conferenza “Policy and Socio-cultural Change among Uyghur in contemporary China. Case: The transfer of Uyghur peasant workers from XUAR to the Chinese coastal areas”.
Durante la conferenza il professore ha introdotto la delicata questione del trasferimento coatto della forza lavoro “in eccesso” dalla Regione Autonoma del Xinjiang alle zone della Cina interna, caso di studio per una più ampia analisi dei cambiamenti e degli sviluppi politici, economici e socio-culturali del Xinjiang uiguro.
La conferenza, durata circa un’ora, attraverso l’analisi della condizione della forza lavoro migrante uigura, ha raggiunto l’obiettivo ultimo: gettare luce sulla profonda spaccatura tra le esigenze della Cina (il Partito) e quelle della regione dello Xinjiang, una spaccatura in cui gli spazi della conoscenza sono stati sostituiti con una politica dura e apparentemente mirata ad esclusivo vantaggio della visione partito-centrica e monolitica del Governo Centrale.
La regione è popolata da una maggioranza relativa di Uiguri (46% della popolazione complessiva, a fronte di un 39% Han e un 15% kazako), gruppo etnico turcofono di religione musulmana che costituisce uno dei 56 gruppi etnici riconosciuti dalla Repubblica Popolare Cinese. La stratificazione sociale è tripartita, ad una grandissima maggioranza di contadini si affiancano commercianti e lavoratori “intellettuali”, per un numero complessivo di circa 20 milioni di abitanti. Nel 2008 la Cina diede inizio quella fase della “Western Development Strategy” che comprendeva anche il trasferimento coatto della forza lavoro in surplus dal Xinjiang alla Cina prevalentemente costiera. Chi si rifiutava, se non costretto con direttamente con la forza, veniva comunque obbligato ad assecondare la decisione, sotto la minaccia di essere privato di assistenza sociale e di garanzie minime di sostentamento. Il resoconto della situazione dei lavoratori migranti coatti prosegue con l’analisi delle loro condizioni contrattuali: i lavoratori uiguri sono soggetti addirittura più deboli degli stessi migranti cinesi, i quali, almeno negli ultimi anni, sono invece riusciti a raggiungere alcuni punti fermi nella contrattualistica e nel diritto all’addestramento (nel caso di lavori di natura tecnico-specialistica o in caso di condizioni ambientali particolari).
I lavoratori uiguri devono sottostare al contratto stipulato per loro dal governo locale con il datore di lavoro (cinese) e una qualsiasi interferenza verrebbe vista dallo stesso lavoratore come un’ingerenza di carattere politico, trattandosi di accordi tra governi. Quello che ne sarà della loro vita viene deciso dall’alto.
Il lavoratore uiguro tipo, continua il prof. Quarluq, è generalmente donna, poiché soggetto docile e remissivo, “trasferita” in un’età che va dai 16 ai 18 anni. Recentemente sembra esserci la tendenza a promuovere il trasferimento di coppie già formate, perché ancora più facili da controllare e meno propense a creare problemi che potrebbero inficiare la vita familiare. In ogni caso il controllo è primario e costante: personale amministrativo locale supervisiona la vita nelle fabbriche così come nei dormitori.
Ma cosa si nasconde dietro queste manovre?
La Cina non manca di forza lavoro, il governo è infatti costretto in alcuni periodi dell’anno a mandare le proprie risorse umane nello stesso Xinjiang, dove c’è bisogno di braccianti nel periodo del raccolto, per esempio.
Ma allora perché trasferire tutti questi lavoratori uiguri in zone in cui sembra essercene la necessità?
In cinese esiste il detto Shang you zhengce xia you duice 上有政策, 下有对策 (le misure dipendono dalla politica), ci fa presente il professore, per corroborare la propria tesi: è come sempre la politica la vera ragione di questo movimento di risorse umane: gli obiettivi ufficiali di queste misure sono quelli di innalzare gli stipendi, specializzare gli operai e, in ultima analisi, migliorare la qualità della vita dell’etnia uigura.
Ad uno scontro tra uiguri e Han, avvenuto il 26 giugno presso Shaoguan (Guandong) ma totalmente ignorata dai media, seguirono i sanguinosi “incidenti” del luglio 2009, incidenti la cui eco è invece pervenuta fino a noi, causando sdegno e proteste internazionali. Il dissenso fu messo a tacere nel sangue: 184 morti, di cui 137 di etnia Han e 46 di etnia uigura. Delle quasi 1500 persone arrestate, ben 200 rischiano la pena capitale.
Gli eventi hanno fermato le migrazioni e causato un rafforzamento massiccio del sistema di controllo nella Provincia e negli spostamenti dal/verso il Xinjiang.
Alla luce di questi fatti, la politica delle migrazioni può essere meglio compresa. Il Governo Centrale sembra da sempre individuare un forte pericolo nella diversificazione culturale e per questo agisce con politiche mirate all’assorbimento, all’omologazione delle etnie non Han. Le misure di migrazione coatta contribuiscono a questo piano generale.
L’obiettivo della Lecture è porre l’accento su quelle che, dal suo punto di vista di studioso e di Uiguro, il prof. Quarluq reputa essere le dirette conseguenze di questa politica, conseguenze esclusivamente negative. L’analisi condotta è di tipo sociologico, la metodologia adottata è la raccolta di informazioni tramite interviste dirette.
Ci viene mostrato in breve il quadro di disagio che il migrante deve affrontare all’arrivo sul posto di lavoro vi sono, com’è ovvio, le questioni climatiche e il problema dell’alimentazioe (fondamentale per l’etnia uigura, di religione musulmana), oltre che questioni culturali e fattori sociali. Nonostante un’intensa opera di propaganda e la presentazione di materiale promozionale ai futuri lavoratori, per prepararli e ben predisporli alla vita nelle industrie, l’impatto è quasi sempre traumatico.
Una delle conseguenze della politica di “migrazione coatta” è, ad esempio, la trasformazione del ruolo della donna uigura: dopo qualche anno di lavoro in Cina, la giovane sembra più propensa a integrarsi nella società mainstream cinese e acquisire pian piano i costumi han. A supporto di questa tesi ci vengono mostrate delle fotografie e riportate delle conversazioni con donne uigure e cinesi (Shandong, Prefettura di Kashgar). Da cuore del focolare domestico, le donne uigure in Cina sono diventate sì individui liberi (libertà coatta?), nessuno interferisce nella loro vita, come invece accadeva nel sistema sociale uiguro, ma la loro libertà ha avuto un costo. In questo senso un giudizio di valore emerge nettamente dalle interviste effettuate.
Il punto di vista del professore uiguro, seppur filtrato attraverso una metodologia di comprovata serietà ed efficacia, emerge chiaramente dai risultati della ricerca. Nonostante sia innegabile che questa manovra, mirata all’annichilimento culturale, abbia in sé anche elementi positivi e offra spinte progressiste – una maggiore tolleranza e apertura mentale fra le etnie uigura e han- gli aspetti che maggiormente emergono dall’analisi sono nettamente negativi. Prima di tutto perché scopertamente mirata all’annichilimento della cultura e del sistema sociale uiguro tramite l’omologazione e l’assorbimento da parte della società cinese, in secondo luogo perché il frutto di questa omologazione sembra essere nella maggior parte dei casi (almeno in base a quello che emerge dalle interviste riportate) una figura ferita, sacrificata e, nel caso delle donne, moralmente degradata.
Tenendo conto della complessità della situazione politica e sociale del Xinjiang e tenendo conto anche dello “sfavore” mediatico nei riguardi di questa regione autonoma da anni oramai scossa da spinte indipendentiste e attentati sanguinosi, è di certo difficile se non pericoloso esprimere un giudizio di valore (se non addirittura morale) sulla base di queste informazioni. Certo è che questa ed altre manovre di controllo non sembrano aver in alcun modo migliorato la situazione della regione, che rimane estremamente critica, si presuppone dunque che si tratti di un progetto di omologazione a lungo termine che sembra per ora dato vita soltanto ulteriore scontento.
In ogni caso si ringraziano studiosi come il Prof. Qarluq e la Dottoranda Alessandra Cappelletti per aver sollevato la discussione tra le mura del nostro Ateneo.
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