Dal novembre 2012 la CNTN ha trasmesso un nuovo sceneggiato televisivo dal titolo “Una famiglia di Wenzhou (Wenzhou yijiaren 温 州一家人)”, una nuova serie che sta spopolando tra le comunità cinesi di Prato e Firenze. Me ne parla una ragazza cinese che gestisce un take away a Firenze, anche lei di Wenzhou. Sostiene che la nuova serie fornisce una versione piuttosto veritiera delle condizioni dei connazionali che, come lei, sono espatriati in Italia. Il soggetto mi ha incuriosito e ho deciso di informarmi in merito.
La serie è prodotta nella Cina continentale, una coproduzione di Kong Sheng e Li Xue; Li Liqun (nei panni di Zhou Wanshun), Duan Tiao (Zhou Ayu), Zhang Yi (Zhou Maigou) e Chi Feng (Zhao Yinhua) interpretano i quattro protagonisti di questa serie. 36 gli episodi dell’unica stagione, secondo il format in genere più usato nelle serie televisive cinesi. Il titolo inglese “Legend of entrepreneurship” esemplifica la trama dell’intera serie, non tanto la storia di una bambina che viene costretta dal padre a emigrare in Italia, quanto il resoconto delle vicissitudini personali e professionali della famiglia Zhou, originaria del distretto rurale di Rui An (nella provincia dello Zhejiang), una saga familiare la cui storia si inscrive all’interno della macro-storia del paese nel periodo del suo boom economico negli anni ’80. Siamo nel 1981 quando la vita tranquilla della famiglia viene sconvolta dalla decisione del capofamiglia Zhou Wanshun di mandare in Italia la figlia più piccola Zhou Ayu, di spiccata intraprendenza ed intelligenza, al posto del primogenito Maigou. Per permettere alla figlia il trasferimento, Wanshun è costretto a vendere casa e a partire con moglie (Zhao Yinhua) e figlio alla volta di Wenzhou, nel tentativo di far fortuna. Da questo momento la storia percorre due binari paralleli, in Europa e in Cina. La tredicenne Ayu inizialmente si stabilisce a Prato, dove trascorre la sua adolescenza lavorando in un ristorante italiano, fino ad avere abbastanza denaro per andare in Francia. Dopo Parigi si stabilisce a Marsiglia, apre il suo ristorante e incontra l’amore; tuttavia la sua felicità dura poco: un epilogo drammatico del suo matrimonio e le difficoltà economiche la portano nuovamente a Parigi, dove si ritrova ad occuparsi di abbigliamento, per questo di nuovo a Prato, dove diventa un membro di spicco della comunità cinese della città. Intanto in Cina la famiglia Zhou vive inizialmente di stenti, raccogliendo rottami per racimolare qualche soldo. Tuttavia lo spirito imprenditoriale di Zhou Wanshun ha la meglio: dalla vendita delle scarpe a Wenzhou, Wanshun si estende all’intero Zhejiang fino a Shanghai, apre la sua fabbrica, per poi vendere ed investire nella produzione di petrolio nello Shaanxi; anche la moglie porta avanti un piccolo commercio di bottoni, mentre il figlio, inizialmente in disputa col padre, si occupa di lenti ottiche, per poi raggiungere la sorella in Francia, che dovrà lasciare per seguire nuovamente la famiglia nello Shaanxi. Pian piano i componenti della famiglia Zhou riescono ad ottenere quello che il pragmatico padre sperava per loro: il successo economico, a discapito tuttavia di una vita di privazioni e sacrifici. I figli Ayu e Maigou non riconoscono l’autorità paterna proprio perchè il suo esasperante arrivismo comporta la frattura dell’unità familiare e la solitudine dei suoi componenti e davvero poco può la moglie Yinhua nel mitigare l’inamovibile volontà del marito o di mediare tra questo e i suoi figli a lui ostili.
Wenzhou yijiaren non vuole analizzare la vita delle comunità cinesi all’estero, quanto piuttosto elogiare lo spirito imprenditoriale dei “Wenzhouers”, uno spirito che ha trovato fertile terreno nelle riforme di apertura degli anni 80. La serie sottolinea con forza la buona lena e lo spirito di sacrificio della gente di Wenzhou nell’era della caccia all’investimento più redditizio, sia in Cina che nel mondo. Il personaggio di Ayu personifica questo spirito in territorio estero: la ragazza viene costantemente confrontata con coloro che la circondano, risultando la migliore in qualunque campo; in Cina invece i due termini di paragone non sono cinesi/stranieri ma gente di Wenzhou/resto dei cinesi, pertanto la famiglia Zhou non vanta una supremazia assoluta su chi sta loro attorno e la forte competizione, che invece caratterizza tutto l’arco della vita di Ayu, per loro avviene solo in ambito economico.
Molteplici le tematiche di interesse in questa serie: la parabola familiare, i contenuti sociali, il periodo storico trattato, il rapporto con l’estero. All’interno di quest’ultimo ambito è da notare che essa è una delle poche serie televisive cinesi in cui compare una cosi forte componente italiana: buona parte delle scene all’estero avviene in Italia (per la maggior parte a Prato), con riprese in loco e attori italiani. Pertanto la serie fornisce uno spaccato sull’immaginario cinese nei nostri confronti: veniamo rappresentati come un popolo cortese e ospitale, tuttavia pigri e avvezzi al benessere. Il locandiere presso il quale Ayu lavora da bambina (nome cinese Baer, difficile capire quale sia il nome italiano corrispondente) è una persona bonaria, rappresentato sempre con un bicchiere di vino tra le mani, che invoca costantemente Dio nei suoi discorsi (il suo Dio è Shangdi上帝 , il Dio cristiano, e non tian 天 , il cielo invocato dai cinesi, questa scelta lessicale ben traduce la distanza culturale tra i due popoli). Il figlio di Baer, Dawei (presumibilmente Davide) è rappresentato come un bambino obeso e piglio, estremamente stupido a confronto con la piccola Ayu. La sua stupidità, insieme alla sua pigrizia, sono il frutto del benessere economico in cui il ragazzino (in generale tutti gli italiani) vive, di contro la vita dura che Ayu affronta sin da bambina la rende la persona intelligente ed infaticabile che è. Il vino, il cibo, l’ abbigliamento, non sono che simboli universalmente condivisi attraverso i quali viene percepita all’estero l’italianità, pertanto espletano la loro funzione di stereotipi nel facilitare la comprensione della cultura italiana ad un pubblico esclusivamente cinese.
La figura di Da Wei mi ha richiamato alla mente un altra serie televisiva, “Love in Sicilia (Qingxi Xixili 情系西西里”, del 2007, in cui viene narrata la storia di una coppia di coniugi Lidia (siciliana) e Shao Jie (cinese), il figlio Jacopo ricorda enormemente Da Wei nella rappresentazione fisica (anch’egli grasso, pigro e viziato). In realtà le vere protagoniste di questa serie sono Lidia e la madre di Shao Jie, Su Zhouwen: tutta la serie ruota attorno al confronto tra le due donne e tra le due culture che palesemente rappresentano. E’ interessante notare come in genere la Cina venga sempre rappresentata da una donna, mentre l’estero da entrambi i generi (sono uomini in Wenzhou yijiaren , entrambi in Qingxi de Xixili). In questa serie l’uso di stereotipi culturali per rappresentare l’italianità è molto forte , sin dal primo episodio: Lidia è la classica donna italiana nella sua fisicità, nei suoi atteggiamenti vivaci e nelle sue abitudini quotidiane. Anche qui il confronto Cina-Italia è ovviamente a favore della prima: è grazie all’intervento di Su Zhouwen che la coppia si salva da una profonda crisi coniugale, durante la quale Lidia torna in Sicilia con Jacopo, ma Su li insegue per riportarli a casa e in questa occasione incontra il padre di Lidia, la serie si conclude con il ritorno in Cina dei coniugi ormai riappacificati e dei suoceri inaspettatamente innamorati. La differenza tra le due serie è evidente: in Wenzhou yijia ren la vittoria della Cina sull’Italia è mitigata dalla volontà di Ayu che, pur restando cinese (nello specifico di Wenzhou), entra a far parte della comunità italiana (nello specifico pratese), mentre l’altra serie propone un epilogo emblematico in cui la felicità viene ripristinata quando gli italiani presenti confermano o scoprono il loro amore verso i loro corrispettivi cinesi e la famiglia si riunisce nel grande paese asiatico.
In generale lo spazio dedicato da Wenzhou yijiaren all’estero da un lato sottolinea le abilità imprenditoriali della gente di Wenzhou oltre i confini nazionali, dal’altro riconosce la sempre maggiore importanza attribuita dai cinesi all’estero, palesata dalla volontà di rappresentarlo, anche se in forme ancora fortemente stereotipate.
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